settembre 18, 2025     |

 

 

 

È stato approvato il decreto interministeriale che stabilisce la certificazione competenze del volontariato. 4,6 milioni di persone che fanno volontariato in Italia attendono da anni questo provvedimento. Nell’articolo anche un approfondimento sulle caratteristiche che deve avere il volontariato per essere certificato.

La certificazione competenze del volontariato

Dopo anni di attesa il decreto interministeriale sulla certificazione competenze del volontariato vede finalmente la luce. Il provvedimento era atteso dalla Riforma del Terzo Settore del 2017.

Nello specifico, il decreto stabilisce la possibilità di formalizzare le competenze maturate durante le esperienze di volontariato. Questo permetterà di spendere le competenze acquisite anche in altri contesti, come la scuola, l’università, il mondo del lavoro e i concorsi pubblici. Ai fini della certificazione competenze del volontariato, un ruolo centrale è quello affidato agli Enti del Terzo Settore (ETS). Essi dovranno garantire un accesso equo al servizio e definire progetti personalizzati con gli obiettivi da raggiungere per ogni volontaria o volontario.

Il percorso di certificazione ha inizio solo dopo la sottoscrizione del progetto da parte di tutte le parti coinvolte. A seguire, tutta l’attività deve essere supervisionata da un* tutor dedicat*. Alla fine dell’attività, l’ETS erogherà un documento di trasparenza e, se la persona avrà completato almeno il 75% delle attività, anche l’attestato delle competenze acquisite. Va ricordato che, per essere certificato, il tempo dedicato alle esperienze di volontariato deve essere di almeno 60 ore in 12 mesi.

Certificazione competenze del volontariato: un sostegno a oltre 4,6 milioni di persone

La nuova misura di certificazione competenze del volontariato è un sostegno alle oltre 4,6 milioni di persone che svolgono attività di volontariato organizzato in Italia. Il dato, relativo al 2021, è indicato dalla rilevazione ISTAT più recente sul settore, pubblicata ad aprile 2024. Nello stesso anno, si contavano su tutto il territorio nazionale oltre 360.000 organizzazioni i non profit, a cui la ricerca fa riferimento.

Statisticamente, la zona più coinvolta dalle attività di volontariato è il Nord Italia, dove si concentra la maggior parte delle organizzazioni non profit. Il primato va al Trentino-Alto Adige, dove 1 persona su 5 fa volontariato. Tuttavia, anche Sardegna e Basilicata presentano valori in linea e superiori alla media nazionale (7,8%) per rapporto tra numero di volontar* e popolazione residente.

Il volontariato in Italia per genere ed età

Di queste 4,6 milioni di persone, il 58,3% sono maschi, anche se è in crescita la componente femminile. La prevalenza numerica maschile è particolarmente accentuata nei settori ricreativo, sportivo e delle relazioni politiche e sindacali. Al contrario, le donne sono più presenti in settori come sanità, religione, istruzione, filantropia e cooperazione internazionale. Questa maggioranza maschile si nota soprattutto nella fascia d’età 30-54, dove, come suggerisce Elisabetta Cibinel su Secondo Welfare, sono maggiori i carichi di cura – nel nostro paese affidati ancora principalmente alle donne. Al contrario, non è presente nella fascia 0-18 e tra la popolazione studentesca, dove spesso ci sono addirittura più volontarie che volontari.

Tuttavia, le persone under 18 sono solo il 3% del totale delle volontarie e dei volontari in Italia. Tra le attività che maggiormente coinvolgono le persone sotto i 18 anni troviamo soprattutto quelle legate alle organizzazioni religiose. Per quanto riguarda invece quella fascia di età di giovani che si affacciano al mondo del lavoro, qui la partecipazione alle attività di volontariato pare ostacolata da una generale instabilità. A fronte di condizioni occupazionali e di vita precarie, impiegare il proprio tempo in attività di servizio a titolo gratuito diventa infatti una questione di privilegio. In altre parole, la partecipazione alle attività di volontariato appare facilitata dalla presenza in contemporanea di un’occupazione stabile.

Dove finisce il volontariato e inizia il finto volontariato?

Per poter parlare di certificazione competenze del volontariato è tuttavia fondamentale ripartire dalle basi: cosa si intende per volontariato? Il volontariato è un’attività libera e gratuita svolta da persone che offrono il proprio tempo, competenze o energie per il bene della collettività. In altre parole, si tratta di un servizio che le persone prestano in maniera spontanea e gratuita. Non ha quindi obblighi né di presenza né di risultato.

In un’Italia in cui la produzione artistica e culturale è spesso affidata a forme di finto volontariato, questa definizione va ribadita con forza. L’industria culturale italiana è un settore scarsamente sostenuto dallo Stato, nonostante sia essenziale per la qualità della vita di persone e comunità. Di conseguenza, la filiera è spesso alimentata da lavoro gratuito, povero e ricattato. Qui, il pagamento economico viene frequentemente sostituito con quello “in visibilità”, con la promessa di un futuro più stabile.

In questa dinamica, viene meno il riconoscimento dello status di lavoratrice e lavoratore professionista di chi opera a titolo gratuito. Parallelamente, affidare l’educazione artistica a personale volontario, senza obblighi di risultato, lede non solo a chi svolge la stessa attività per professione, ma anche al diritto di chi ne gode di ricevere un’offerta culturale di qualità. Infatti, il volontariato non può erogare servizi essenziali, come cultura, educazione, salute.

Di conseguenza, per contrastare le storture del sistema, il Codice del Terzo Settore del 2017 definisce:

  • il divieto di ricoprire contemporaneamente il ruolo di volontario o volontaria e di lavoratore o lavoratrice all’interno dello stesso ente, al fine di eliminare forme mascherate di lavoro part-time non regolare;
  • eliminazione di rimborsi forfait e un limite ai rimborsi autocertificati;
  • applicazione di Contratti collettivi nazionali al personale dipendente assunto.
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