novembre 22, 2024     |
 

 

Il Direttore  dell' Osservatorio Sismico" Luigi Palmieri " Prof. De Paola Pietro,  dichiara : è opportuno precisare

" Magma sotto Appennino campano, Ingv...."

 

Lo studio pubblicato da ricercatori dell’INGV relativo ad una ipotetica risalita di magma in un’area a sud del Sannio- Matese, verificatasi – sempre secondo i citati ricercatori – nel corso della sequenza sismica del dicembre-gennaio 2013-2014, ha destato tra i cittadini e le istituzioni pubbliche notevoli preoccupazioni, peraltro tanto infondate quanto assolutamente ingiustificate.

La notizia, in sé già carica di ineludibili suggestioni catastrofiche, è stata ulteriormente amplificata dai mass-media nazionali e locali, attualizzando gli spettri di drammi passati, vissuti e giammai dimenticati.

Lo studio, infatti, sembra lasciar intendere che all’ipotizzato fenomeno di risalita di magma possano associarsi incrementi della pericolosità sismica dell’area, non escludendo neanche la possibilità – sia pure tra qualche “migliaio di anni” – della formazione di una struttura vulcanica.

Corre, quindi, l’obbligo di rimettere nella giusta collocazione le tessere di questo mosaico, la cui configurazione appare al momento molto confusa, appena delineata e tutt’altro che definita.

Innanzi tutto appare opportuno fare alcune precisazioni.

Primo, la profondità dell’ipocentro.

La rottura dell’evento principale di magnitudo 5 è posta a circa 25 km di profondità, con rotture progressive in risalita fino a circa 15 km ed anche meno.

Evento unico ed anomalo, secondo i ricercatori.

Basta, invece, scorrere gli annali dei terremoti relativi a questa area ed a quelle immediatamente adiacenti per rilevare che fenomeni simili non rappresentano una eccezione, essendosi già verificati in passato sia pure con frequenze non elevate; nella sequenza sismica del 1997, ad esempio, ben 34 eventi furono localizzati a profondità comprese tra i 15 e i 25 km.

Ed appare del tutto coerente e normale con l’evoluzione del fenomeno sismico anche la propagazione verso l’alto della rottura principale, testimoniata dalla risalita degli ipocentri delle scosse di assestamento.

Secondo, la risalita di gas profondi.

Anche questo è un fenomeno che accompagna il verificarsi di un fenomeno sismico.

I gas, anzi i fluidi, presenti in profondità, a seguito dei processi di compressione e decompressione dei corpi rocciosi, sempre in connessione con i fenomeni sismici, risalgono verso la superficie attraverso le soluzioni di continuità, cioè le faglie, mobilizzate dalle vibrazioni simiche.

Si ricorda ai lettori la risalita del gas radon, anch’esso uno tra i tanti fluidi profondi che arrivano in superficie attraverso le “rotture” della crosta, diventato “popolare” nel corso del terremoto aquilano per via del caso “Giuliani”.

Ciò vale anche per la CO2 e per le variazioni dei parametri geochimici, gravimetrici, geomagnetici, piezometrici, ecc., generate dal fenomeno tellurico.

Terzo, l’eventuale variazione del grado di pericolosità sismica attualmente attribuito al distretto sismico  Sannio-Matese.

Quest’ultimo punto rappresenta il nodo cruciale dell’intera questione. Lo studio pubblicato, infatti, assume la potenza di una deflagrazione ove ne discenda un incremento del grado di pericolosità per l’area in studio.

In caso contrario, l’incendio si spegne sul nascere e lo studio, ridimensionato negli aspetti applicativi, quelli cioè di interesse della collettività, cittadini e istituzioni, riprende la propria configurazione di un semplice passo nell’area vasta della ricerca scientifica, attendendo opportune conferme, verifiche, condivisioni, rettifiche o radicali revisioni dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.

Tornando alla questione principale, ci si chiede se, per effetto della ipotesi avanzata dall’INGV, il grado di pericolosità sismica assegnato a questo distretto sismico sia variato o debba essere variato.

La risposta è, semplicemente, no.

La pericolosità sismica riconosciuta ed assegnata a questa area non varia essendo già di grado elevatissimo, in quanto interessata più volte in epoca storica da terremoti distruttivi fino all’XI grado MCS (1456, 1688, 1732, 1805) ed anche, in epoca recente, da sequenze sismiche (1980, 1997, 2013) in genere di bassa energia, i cui ipocentri ed altre evenienze sismo-geologiche hanno consentito di localizzare alcune delle principali faglie assoggettate a rottura e di verificarne la persistente attività.

In definitiva, la dinamica sismica ad elevata magnitudo caratterizzante questa plaga appenninica è esclusivamente e complessivamente legata alla tettonica distensiva e compressiva generata dal ben noto movimento delle placche crostali  e sovrasta, per la sua imponenza e primogenitura, ogni altro fenomeno conseguente e collaterale.

Perciò, sotto il profilo della prevenzione del rischio sismico, le misure attuabili sono quelle previste dalle norme vigenti, sia per i cittadini che per le istituzioni.

Concludendo sul punto si può affermare che lo studio prodotto dall’INGV nulla aggiunge all’attuale elevatissimo grado di pericolosità sismica riconosciuto per il distretto Sannio-Matese.

Alle istituzioni pubbliche ed ai cittadini incombono, pertanto, gli obblighi, anch’essi già individuati dalle norme disciplinanti la mitigazione del rischio sismico, che qui si vogliono rimarcare, in quanto ritenuti più che sufficienti per raggiungere gli obiettivi della sicurezza sismica, ma che finora sono stati sostanzialmente elusi o applicati in parte minima.

Tali obblighi e tali finalità si possono riassumere in soli quattro punti di seguito esplicitati:

1)      Consolidamento del patrimonio edilizio nazionale sia pubblico che privato e di molte infrastrutture per gran parte estremamente vulnerabili sotto il profilo sismico.

2)      Introduzione nelle procedure di pianificazione urbanistica del tema della gestione degli spazi pubblici da disegnare, oltre che nello “stato di quiete o fase statica”, nello “stato dinamico o fase sismica”, occorrendo garantire la pervietà degli accessi alle varie aree e la salvaguardia dei cittadini soprattutto nei centri storici.

3)      Aggiornamento dei Piani di protezione civile per tutti i Comuni, molti dei quali in possesso di piani obsoleti o redatti secondo criteri superati ed inefficaci.

4)      Attuazione periodica di esercitazioni collettive di protezione civile, senza le quali gli stessi Piani di protezione civile diventano carta straccia depositata negli scaffali degli uffici comunali.

Pesco Sannita li, 11/01/2017

 

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